Tra le festività più sentite in Repubblica Ceca c’è quella che, ogni 17 novembre, celebra l’anniversario dell’evento più importante della sua storia recente: la Rivoluzione di Velluto. Tutti l’abbiamo sentita almeno nominare, spesso descritta in modo molto semplicistico come la liberazione definitiva dalla sfera d’influenza sovietica (chiamiamola così) dopo oltre 74 anni.
Ma come ci si è arrivati? Quali sono stati gli ultimi avvenimenti che hanno portato alla rivoluzione “gentile” per antonomasia? E chi era Václav Havel, figura complessa alla quale viene identificata la tanto agognata libertà?
Vorrei provare a spiegarlo brevemente, in modo semplice e diretto. Giusto qualche cenno storico che descriva al meglio dinamiche complesse e ancora non del tutto risolte. Perché per capire i cechi, capirli davvero, al di là di quella maschera di ferro e quella apparente superbia che amano tanto sventolare, bisogna andare scavare un po’ più nel profondo.
Come e perché si è arrivati alla Rivoluzione di Velluto
La Cecoslovacchia dal 1918 al 1968
La fine della prima guerra mondiale ed il conseguente sbriciolamento dell’impero austro-ungarico vedono la nascita di un nuovo stato, la Cecoslovacchia. Il principale fautore dell’unione di cechi e slovacchi è Tomáš Garrigue Masaryk, politico costretto all’esilio che diventa il primo presidente del neonato paese. La “Prima Repubblica”, che si identifica con grande sviluppo e prosperità, dura fino agli accordi di Monaco del 1938, preludio all’invasione di Hitler dell’anno successivo. Con la Slovacchia dichiaratasi indipendente, viene istituito il Protettorato di Boemia e Moravia, uno dei periodi più bui della storia ceca.
La sconfitta della Germania nazista e la fine della seconda guerra mondiale vedono la liberazione dei territori della “ritrovata” Cecoslovacchia da parte dell’esercito sovietico, che di fatto si sostituisce ai tedeschi. Sono in molti, almeno all’inizio, ad appoggiare il partito comunista, ma la cruda verità è che quell’avanguardia sociale raggiunta così faticosamente viene demolita un pezzettino alla volta. Bisogna attendere l’elezione di Alexander Dubček, il 5 gennaio 1968, per tornare a respirare un po’. È lui, col suo “socialismo dal volto umano“, che dà formalmente il via alla Primavera di Praga, una serie di riforme che tendono a restituire libertà politica e d’espressione, oltre che dare una spinta all’economia. Dura poco, pochissimo: la notte tra il 21 ed il 22 agosto 1968, i carri armati sovietici entrano nella capitale. Stavolta per restare.
La Cecoslovacchia dal 1968 al 1989
Il ventennio successivo è segnato da una regressione economica e sociale fortissima, dovuta alle politiche repressive sovietiche che soltanto studenti ed intellettuali provano ad ostacolare. L’atto di ribellione più famoso è proprio quello di uno studente, Jan Palach, che per protesta decide di cospargersi di benzina e darsi fuoco sulla scalinata del Museo Nazionale, in Piazza Venceslao. È il primo di almeno altri 7, i cui sacrifici passano però sotto relativo silenzio, “filtrati” dal regime. Palach muore dopo giorni di agonia, ed in 600.000 arrivano da tutto il paese per il suo funerale. Come per volerlo rassicurare che il suo non è stato un gesto inutile.
Per un atto davvero significativo da parte di un gruppo di intellettuali bisogna aspettare il 1976, con la nascita della Charta 77. Il nome è preso da un documento redatto appunto nel 1976, ma pubblicato da giornali della “parte ovest” del mondo nel gennaio dell’anno successivo grazie a dei samizdat entrati illegalmente in circolazione. L’originale, firmato da 242 persone appartenenti a ceti, pensieri politici e religioni diverse, viene infatti intercettato e distrutto mentre alcuni membri del gruppo lo stanno portando all’Assemblea Nazionale. Tra di loro, Václav Havel, Ludvík Vaculík e Pavel Landovský.
Ma cosa contiene di così compromettente la Charta 77? Sostanzialmente una critica al governo per non essere stato in grado di far rispettare i diritti umani come invece si era ripromesso. Specifica inoltre che non si tratta di un’organizzazione, che non ha organi permanenti e non vuole portare avanti un’opposizione politica. Questo, inutile dirlo, per non andare contro la legge cecoslovacca, che condanna come illegale qualsiasi tipo di opposizione organizzata.
Il governo ovviamente se ne frega, bolla il documento come anti-statale, anti-comunista, abusivo, ed i firmatari come traditori servi dell’imperialismo. In realtà gli aggettivi usati sono molto più numerosi, ma ci siamo capiti. Le rappresaglie non tardano ad arrivare sottoforma di licenziamenti, esili, processi, prigione, collaborazione forzata con i servizi segreti russi e così via.
Ciò non basta a fermare la protesta della Charta 77, che in una decina d’anni raggiunge i circa 1900 firmatari. La costanza viene finalmente ripagata alla fine degli anni ’80, quando il progressivo indebolimento del regime permette ai suoi membri di organizzare una vera e propria opposizione contro il governo.
E così si arriva al 1989.
Il 1989 e la Rivoluzione di Velluto (17 novembre-29 dicembre)
Con il crollo del muro di Berlino del 9 novembre, anche molti cechi, che assistono alle storiche immagini in TV, smettono di avere paura di parlare apertamente contro il regime. Le prime proteste si diffondono a Teplice, nella Boemia nord-occidentale, anche se in realtà sono incentrate contro l’irrespirabilità dell’aria, e proseguono a Bratislava, senza incidenti, il 16 novembre.
La svolta si ha il 17 novembre, giornata internazionale dello studente, Praga ospita una manifestazione in memoria di un’altra avvenuta 50 anni prima, e repressa nel sangue dalle truppe naziste. La polizia cerca di disperdere i circa 150.000 studenti riuniti per le strade del centro, finché non si sparge la voce, falsa, che uno di loro è stato ucciso. Si tratta in realtà dell’agente Ludvik Zifčák, portato sì via in ambulanza, ma dopo essere svenuto per le troppe emozioni.
Tanto basta.
La sera stessa, studenti ed attori di teatro decidono di entrare in sciopero, sciopero al quale aderisce poi buona parte della Cecoslovacchia (si stima il 75% della popolazione) il 27 novembre. L’iniziativa è promossa dal Forum Civico, una nuova associazione di carattere stavolta spiccatamente politico. Sono gli stessi attori, insieme ai rappresentanti della Charta 77 (incluso Václav Havel) ed altri dissidenti a fondarla.
L’Občanské Fórum ha richieste chiare per il governo: fare luce sugli incidenti del 17 novembre, liberare i prigionieri politici ed abolire lo “status” del partito comunista. Inutili i tentativi di partito e polizia di dimostrare che nessuno è stato ucciso; nonostante le minacce, non li ascolta più nessuno.
In televisione cominciano a circolare immagini di ciò che sta succedendo a Praga e la gente comune, estranea alla capitale e ai circoli di intellettuali, può finalmente familiarizzare con i fautori di quella che passa alla storia come Rivoluzione di Velluto e che prima di allora, probabilmente, non avevano nemmeno sentito nominare. Si affidano a loro, aderendo allo sciopero di due ore del 27.
Dopo l’elezione di un nuovo governo di stampo ancora troppo filo-russo, non gradito alla popolazione ed in carica un paio di giorni appena, l’11 dicembre Václav Havel viene nominato presidente della Repubblica. Ruolo confermato il 29 dicembre e legittimato dalle prime elezioni libere dopo 44 anni, quelle del giugno 1990.
La Cecoslovacchia post Rivoluzione di Velluto ed il ruolo di Havel
Nonostante la ritrovata libertà, il paese che Havel si ritrova a governare ha mille problemi. Riesce a far sgomberare le truppe russe dal territorio in tempi relativamente brevi, ma altre questioni, tra cui il malcontento di cechi e slovacchi per una convivenza che si protrae forzatamente ormai da troppo tempo, sono altrettanto spinose. Contro la sua volontà, il parlamento cecoslovacco vota per la divisione.
Il “divorzio di velluto” diventa effettivo il 1 gennaio 1993 con Havel che, dopo essere stato eletto primo presidente della Cecoslovacchia post-comunista, diventa il primo presidente della Repubblica Ceca.
Passa insomma dall’essere membro di una famiglia decisamente benestante a scrittore di teatro/intellettuale, da dissidente incarcerato a presidente in carica per 2 mandati, dal 1993 al 2003. Posizione questa “guadagnata” più grazie al suo ruolo di membro fondatore del Forum Civico, il cui impatto è stato davvero enorme, che della Charta 77. Anche se il primo probabilmente non sarebbe potuto esistere senza il secondo.
Nonostante in patria sia ancora, per ovvi motivi, quasi idolatrato da alcuni, è più che altro all’estero ad essere visto quasi come l’unico responsabile di un traguardo inestimabile chiamato libertà. In ogni lotta che la metta in dubbio viene invocato il suo nome (insieme a quelli di Masaryk e Palach), nonostante sia venuto a mancare nel 2011. Eppure in molti nutrono dubbi sul suo operato, o su come la fine del regime sia stata fin troppo fulminea, quasi “semplice”.
Perché ok, alla fine degli anni ’80 il blocco russo si è irrimediabilmente indebolito; tutti i territori che circondano la Cecoslovacchia sono già liberi; la situazione sociale ed economica è ad un passo dal collasso definitivo. La gente non ne può più, e l’iniziativa del Forum Civico ha l’inestimabile merito di farsi portavoce di un’intera popolazione, di riunirla.
Tuttavia, una volta eletto presidente, ruolo che dice di non voler ricoprire, Havel ad esempio non mette a processo coloro che non avevano rispettato i diritti umani ed i capi del partito, uno dei punti principali della Charta 77; concede invece un’amnistia generale rivolta principalmente ai prigionieri politici, ma che libera di fatto molti delinquenti, tanto che il tasso di criminalità triplica nel giro di pochissimo; bolla come immorale il trattamento riservato ai sudeti alla fine della seconda guerra mondiale, causando enormi polemiche.
Luci ed ombre insomma. Ed una verità assoluta che non verrà mai a galla.
Per come la vedo io, la gente aveva bisogno di credere ed affidarsi a qualcuno, ed Havel era l’uomo giusto al posto giusto.
Il resto, a più di trent’anni dalla Rivoluzione di Velluto, poco importa.
La libertà tanto agognata se la stanno godendo al massimo i cechi, i praghesi in particolare, e guai a provare a toccargliela come stanno cercando di fare certi politici. Si scende subito in piazza, a decine di migliaia per volta. Anche se lo scontro tra “vecchio” e “nuovo” andrà avanti ancora per un bel po’, anche se da fuori continueranno ad essere guardati di traverso per le scelte che in realtà sono solo di alcuni.
Se ne faranno una ragione, come al solito.
Perché chi ha attraversato, ancora troppo di recente, l’inferno, non si lascia intimorire da niente e nessuno.