Itinerario in Bosnia-Erzegovina, cosa vedere in 10 giorni

Mai avere pregiudizi prima di un viaggio in un luogo ancora per noi sconosciuto.
È un concetto piuttosto basilare che dovrebbe essere caro ad ogni viaggiatore, ma che puntualmente mi frega. Niente di trascendentale, sia chiaro, ma già nel buttare giù un itinerario in Bosnia-Erzegovina mi sono fatta non so quante pippe mentali sul presunto stato delle strade, sulle mine antiuomo sparse ovunque, su orde di animali randagi scheletrici. Grazie Serbia e grazie campagna del terrore di un’ “amica” che apparentemente trovava segnali di pericolo ad ogni angolo.

E allora partiamo da qui, dal radere al suolo quei pregiudizi che mi ero portata dietro: in Bosnia-Erzegovina si viaggia che è una meraviglia. È vero, al 2023 le autostrade erano quasi completamente assenti, così tuttavia come industrie e traffico pesante, col risultato di avere tempi di spostamento forse un po’ lunghi ma manto stradale sempre buono. Il non doversi guardare intorno ogni secondo per individuare possibili pericoli (sì, la Serbia nel biennio 2020/2021 mi ha segnata) ha reso i panorami ancora più indimenticabili.

Le mine antiuomo (al 2023) purtroppo ci sono, ci sono eccome, ma sono principalmente nei boschi e lontani dalle strade principali, per questo si consiglia sempre di non avventurarsi nei luoghi più remoti. Fanno ancora vittime e feriti, sempre meno è vero, ma meglio non scherzarci. Esiste un sito in costante aggiornamento di proprietà del European Union Force in BiH con la mappa delle mine antiuomo inesplose in Bosnia-Erzegovina. Almeno la zona di Sarajevo e dintorni ha visto la rimozione totale di tutti gli ordigni rimasti nel 2021, ma sono operazioni molto onerose che pare si protrarranno ancora a lungo nel resto del Paese.

Infine ci sono loro, gli animali abbandonati, cani randagi soprattutto, che per me hanno rappresentato il più grande shock durante il primo viaggio in Serbia. Me lo porto ancora dietro, ed ogni volta che pianifichiamo viaggi nei Balcani sono combattuta tra il cambiare destinazione ed il cercare di affrontare in qualche modo la questione. Non voglio che mi blocchi, ma continua ad essere un qualcosa che non riesco a superare. Fortuna che non si sono presentate situazioni spiacevoli, al contrario: ho visto sì un sacco di animali randagi, ma mai realmente abbandonati o affamati. Non so cosa c’è davvero dietro e non sono sicura di volerlo sapere, ma da ciò che ho potuto vedere la popolazione, in particolare quella di religione musulmana, se ne prende una gran cura ed è stata una gioia destreggiarsi tra un micetto e l’altro. Un po’ come in Montenegro, con la differenza che qui non siamo capitati in nessuna Nikšić locale.

Appurato di quanto mi sia preoccupata per niente, credo sia il caso di tornare alla ragione per cui sei qui, ovvero scoprire un itinerario ad hoc che esplori il meglio della Bosnia-Erzegovina. Con 10 giorni pieni a disposizione (viaggio in auto che è iniziato dai laghi di Plitvice ed è finito a Zagabria) credo che ci siamo riusciti, pur avendo dovuto lasciare a malincuore fuori qualcosa come le cascate di Kravice, Trebinje, il villaggio di Lukomir, Višegrad ed il suo ponte sulla Drina, Srebrenica, lo spomenik di Tjentište. Ce n’è per un altro viaggio, che spero di fare quanto prima. Intanto però lascia che ti racconti questo.

Itinerario di 10 giorni in Bosnia-Erzegovina

Giorno 1: Bihać ed il Parco Nazionale del fiume Una

Arrivando in auto dalla Croazia, per l’esattezza dal Parco Nazionale dei Laghi di Plitvice, la città di Bihać si raggiunge in una manciata di minuti dopo aver varcato il confine. Per una volta non abbiamo dovuto sprecare interminabili ore per attraversare una frontiera sempre controllatissima, come invece succede puntualmente con la Serbia. Merito della bassa stagione, sempre un’ottima idea, e dell’afflusso minimo di turisti.
Bihać è il centro più grande di questo angolo di Bosnia-Erzegovina e la sua vita si sviluppa intorno al fiume Una, il vero protagonista. Infatti non in molti si spingono fin qui soltanto per visitare la fortezza, che tra le altre cose custodisce anche i resti di una chiesa letteralmente sventrata, oppure le particolarissime moschee (una futurista e l’altra “adattata” a chiesa cattolica) o il corso principale molto “vecchio stile” (il suo brutalissimo Konzum rimarrà per sempre nel mio cuore). È il parco nazionale dell’Una che attrae le folle, e che meriterebbe moooolto più tempo della mezza giornata che siamo riusciti a dedicargli.

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Il Nacionalni park Una occupa una superficie di quasi 20.000 ettari che si sviluppano lungo il confine con la Croazia e comprende non solo il corso superiore del fiume Una come il nome potrebbe far intendere, ma anche il fiume Unac. Ad incantare non sono tanto i corsi d’acqua in sé, quanto le drammatiche cascate che li spezzano, le gole attraverso cui passano ed i canyon che formano. A completare un quadro già ricchissimo, monasteri, mulini ad acqua e addirittura fortezze, sia dell’epoca romana che medievale.

Dovendo fare una scelta dolorosa ma necessaria, abbiamo optato per dedicare la mezza giornata a disposizione al villaggio di Martin Brod, dove si concentra il complesso di cascate più grande del parco nazionale. Le cascate non sono che le più celebri di una serie di punti di interesse straordinari, tra di essi primo in ordine “di incontro” (ed ottima opzione di parcheggio) il Monastero di Rmanj. La sua construzione dovrebbe risalire a fine XV secolo, non ci sono molte testimonianze scritte dell’epoca, quello che invece è sicuro è che durante la sua storia sia stato distrutto e ricostruito molteplici volte, con l’ultima “inaugurazione” risalente al 2006.

Il Veliki Vodopad, la cascata grande, dista appena una decina di minuti a piedi da Rmanj, ed è uno degli spettacoli naturali tra i più belli che abbia mai visto, anche grazie alle abbondanti piogge dei giorni precedenti. Non so nemmeno quanto siamo rimasti sulla “terrazza” di legno ad ammirare l’Una che si schiantava sulle rocce per poi proseguire la sua corsa verso le piccole cascate, che invece si possono ammirare da un ponte in ferro che attraversa il corso del fiume. Continuando invece a salire, un piccolo sentiero costeggiato da una manciata di case porta ai mulini ad acqua e alla bučnica, una lavanderia ecologica naturale. Non potevano mancare il lago di Martin Brod, che altro non è che il punto dove l’Una si allarga, ed il vecchio ponte ferroviario in ferro di una tratta non più in uso che Pavel voleva assolutamente immortalare.

Di strada per raggiungere la città di Jajce, abbiamo fatto un brevissimo stop a Ključ, sia perché non avevamo ancora pranzato (da tenere a mente che fuori stagione a Martin Brod non ci sono molte opzioni per rifocillarsi un po’) che per ammirare uno degli edifici brutalisti più iconici della Bosnia-Erzegovina, il Kafers Centar. Ključ merita soprattutto per la sua fortezza, rimessa a nuovo di recente e dalla quale si gode una bella vista sulle montagne circostanti.

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Giorno 2: Jajce

E pensare che prima del viaggio in Bosnia-Erzegovina ero convinta che le cascate si potessero trovare solo in mezzo alle foreste o comunque solo in contesti naturali.
Invece Jajce mi ha mostrato l’esatto contrario, con le sue rapide dritte nel cuore del centro storico che manco a dirlo sono la ragione principale per cui si visita. La mia di motivazione era un tantino diversa però. Ok l’unicità del luogo, ma (com’è ormai piuttosto chiaro da tutti i nostri viaggi nei Balcani) la parte storica e politica è importante per noi tanto quanto quella puramente turistica. E da questo punto di vista Jajce è il connubio perfetto. Lungo la riva sinistra, a pochissima distanza dal punto in cui la Pliva fa un salto di 20 metri per buttarsi nel fiume Vrbas, si trova il Museo AVNOJ. Quello che oggi è appunto un museo, nel 1943 fu la sede della seconda sessione del Consiglio antifascista di liberazione popolare della Jugoslavia (o per rispettare l’acronimo Antifašističko vijeće narodnog oslobođenja Jugoslavije) ed il luogo che di fatto vide la nascita di una Jugoslavia federale con Tito primo ministro.

Tornando invece al lato destro della Pliva, si sviluppa uno dei centri storici più ricchi di tutto il Paese e che custodisce molti dei 24 monumenti nazionali facenti parti della municipalità. Le mura medievali e la fortezza sulla parte più alta della città sono solo i primi che saltano all’occhio, ma cosa dire delle catacombe? Dell’irresistibile mix di chiese e moschee? Dei bellissimi palazzi rimessi a nuovo grazie al contributo dell’UNESCO, che sta valutando di inserire Jajce tra i siti patrimonio dell’umanità?
Come se tutto ciò non bastasse, se si risale il fiume per una manciata di chilometri per ritrovarsi circondati da incredibili mulini ad acqua fatti in legno e risalenti al medioevo. I mlinčići sono forse stati la scoperta più sorprendente, soprattutto perché 6 di loro sono ancora in funzione ed hanno lo stesso ruolo che hanno avuto per secoli, ovvero la produzione di farina.
Se non fosse chiaro, per me Jajce merita un bel 10/10. Imperdibile!

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Giorno 3: Ramsko Jezero, Jablanica e Počitelj

Il viaggio itinerante in Montenegro del 2022 mi ha viziato con gli alloggi. Piccole casette o baite in legno private a prezzi più che ragionevoli mi hanno reso impossibile resistere alla vista di qualcosa di simile. È principalmente per questa ragione che ci siamo trovati a passare la notte sulle rive del Ramsko Jezero, con il bonus di un’accoglienza entusiasta di una padrona di casa deliziosa che ci ha dato il benvenuto con un bicchierino di rakija fatta in casa. Alla luce del giorno, il lago è qualcosa di sorprendente e le colline circostanti permettono di ammirarlo nella sua interezza. Delle varie penisole che si stendono sulle sue acque ci ha incuriosito quella che porta al piccolo villaggio di Šćit, dove la Chiesa dell’Assunzione della Vergine Maria è senza dubbio l’attrazione principale.

Seguendo il corso del fiume Rama verso Jablanica, proprio lungo la strada si trova all’altezza di Gračac si trova una centrale idroelettrica che definirei iconica nel mondo dell’architettura dell’ex Jugoslavia. Sì, ho provato ad entrare senza pensarci troppo. No, non ci sono riuscita per ovvie ragioni. Sì, una foto ricordo l’ho scattata dopo che i guardiani ci hanno cortesemente detto di allontanarci ed accontentarci di vedere l’ingresso dall’altro lato della strada.

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Jablanica dicevamo. Tappa imperdibile alla luce di quanto scritto per il museo dell’AVNOJ di Jajce. Il piccolo villaggio è infatti passato alla storia per una delle battaglie più importanti della seconda guerra mondiale tra le forze dell’Asse e l’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia guidato dal maresciallo Tito. Il “trabocchetto” per sfuggire da disfatta certa fu distruggere il ponte sul fiume Narenta, depistare i nemici e ricostruirlo a tempo record (in legno) durante la notte. C’è ancora oggi un ponte crollato, che altri non è che la replica dell’originale utilizzata per il film “Battaglia della Neretva” di Veljko Bulajić, candidato all’Oscar come miglior film straniero nel 1970. La storia è riassunta e raccontata perfettamente all’interno del museo, che raccoglie moltissimo materiale e spiega la tattica usata dai partigiani per vincere una battaglia che rappresentò una vera e propria svolta per la guerra.

Seguendo il corso della Neretva verso sud abbiamo chiuso la giornata a Počitelj, che è diventato subito uno dei miei luoghi del cuore in Bosnia-Erzegovina. Si parla tanto (giustamente) di Mostar e Blagaj, ma questo paesello abbarbicato sul fianco della montagna merita altrettanto. Non si direbbe mai che ciò che vediamo oggi sia il frutto di una ricostruzione piuttosto recente partita nel 2003 e necessaria visti gli ingenti danni causati dalla guerra tra il 1992 ed il 1995. Arrampicandosi tra i suoi vicoli all’ombra degli alberi di melograno ci si sente proprio come se il dominio ottomano, durato oltre 4 secoli e spazzato via solo dall’impero Austro-Ungarico, sia ancora presente. E tra moschee, minareti, torri e fortezze, a sottolineare quanto in passato Počitelj rappresentasse un punto strategico fondamentale, non mancano mai spremute fatte in casa e adorabili micetti.

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Giorno 4 e 5: Stolac, Blagaj e Mostar

Meno “trasporto” l’ho sentito con Stolac, cittadina il cui antico centro storico è circondato dalle montagne. Qui i segni della guerra sono ancora piuttosto tangibili, nonostante i punti di interesse principali siano stati rimessi quasi a nuovo. Penso alla vecchia (e piccola) čaršija e ai possenti resti dell’antico insediamento, Vidoški, che guarda l’attuale dall’alto. La ragione per cui abbiamo scelto Stolac come tappa sono però gli stećci, pietre tombali medievali patrimonio Unesco di cui la Bosnia-Erzegovina è particolarmente ricca. Lungo la strada verso Počitelj si trova infatti la necropoli di Radimlja, con una collezione davvero ricchissima ed un centro visitatori che ne spiega bene la storia. Esperienza piuttosto diversa dalla visita agli stećci del Montenegro all’interno Parco Nazionale del Durmitor, ma pur sempre unica.

Altra tappa doverosissima prima di arrivare finalmente a Mostar è Blagaj. Dopo Mostar, Sarajevo e probabilmente Medjugorje, Blagaj è una delle località più conosciute e visitate del Paese. Certo aiutano i tour giornalieri organizzati dalla città, ma è innegabile che il luogo abbia un fortissimo richiamo spirituale. E non solo. Ringrazio ancora il viaggiare fuori stagione, perché già parcheggiando l’auto si capisce dalla quantità di bancarelle chiuse lungo il tragitto quanta gente arrivi da quelle parti. E raggiungendo il monastero non è difficile capirne la ragione. La tekke, antico monastero derviscio, si trova in uno dei punti più suggestivi, ovvero sulle acque cristalline del fiume Buna e a ridosso di una massiccia scogliera che sembra quasi schiacciarla. Gli interni, specialmente la sala degli ospiti, la sala delle preghiere e l’antico hammam, colpiscono per il contrasto tra il legno scuro ed i coloratissimi tessuti, e guai a non ammirare i soffitti intagliati. L’attività preferita dei visitatori di Blagaj è però attraversare il ponte ed ammirare la tekke dalla riva opposta del fiume, spesso per una foto ricordo instagrammabilissima (alla quale non sono riuscita a sottrarmi nemmeno io).

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Siamo “sbarcati” a Mostar nel pomeriggio, con poche ore di luce a disposizione e grossi nuvoloni carichi di pioggia a rimorchio. Dopo aver parcheggiato con non poca difficoltà davanti all’alloggio, nel cuore del centro, abbiamo voluto assaporare ancora un po’ l’attesa di trovarci finalmente faccia a faccia con lo Stari Most, optando per una passeggiata dal lato opposto alla ricerca di un po’ di street art. L’abbiamo trovata, eccome, proprio come il temporale ha trovato noi e ci ha costretto a nasconderci sotto i balconi di uno dei palazzi ricoperti da enormi murales. Abbiamo anche avuto ulteriore dimostrazione che il colore, l’arte, non trovano barriere, si tratti di ruderi o di edifici bucherellati dai proiettili di un conflitto ancora troppo recente e troppo sanguinoso. A loro non è sfuggita nemmeno la famigerata “Sniper Tower, negli anni ’90 il palazzo più alto di Mostar e prestigiosa sede della Ljubljanska Banka, trasformata dai cecchini croati nel luogo ideale da cui sparare a vista. Di lei non è rimasto che uno scheletro inaccessibile, anche se qualcuno evidentemente entra, e scrive. Disegna. Fa sentire la propria voce. Per non dimenticare.

Se già “solo” la vista della “Sniper Tower” aveva reso impossibile il dimenticare qualsiasi cosa, nel secondo giorno ci siamo ritagliati un paio d’ore per partecipare ad un free walking tour di Mostar con Sheva Walking Tours. Esperienza che consiglio a tutti, perché Mostar non è una città che si può affrontare e cercare di capire senza il supporto di chi certi orrori li ha purtroppo vissuti in prima persona. Difficile, anche a distanza di tempo, non farsi salire il magone. Il tour in realtà spazia dalla storia più antica a quella recente, soffermandosi sui punti di interesse principali, tutti ugualmente straordinari. Buona parte del centro storico, individuabile dal ciottolato, è patrimonio UNESCO ed è stato ricostruito con i suoi fondi e non solo (l’Italia ha dato un bel contributo) dal 2004 in poi. Camminando per i vicoli di Mostar mai si direbbe che sia tutto “nuovo”, anche se ad onor del vero parte delle vecchie pietre che costituivano il “Vecchio Ponte” ottomano del XVI secolo sono state riutilizzate. È lui l’attrazione principale, è come una calamita che ti chiama a sé di continuo e che fotograferesti da ogni angolo. A proposito, il punto ideale per una vista mozzafiato è dall’alto del minareto della moschea di Koski Mehmed Pasha, anch’essa imperdibile.

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Giorno 6: Mostar e Konjic

Mostar non è solo il suo centro storico. Prima di lasciarla per proseguire verso nord, ci siamo ritagliati un po’ di tempo per la periferia e per quelle maledette montagne. Maledette, perché dalle loro vette venne portato avanti l’assedio della città negli anni ’90. Oggi per i suoi boschi si possono fare lunghe passeggiate, ci sono vie ferrate, e sulla collina di Fortica è stato allestito un bel punto panoramico con una passerella in vetro per godere di una prospettiva decisamente nuova. Dalla parte opposta rispetto a Fortica si trova il cimitero partigiano, uno degli spomenik più iconici della Bosnia-Erzegovina almeno fino al 2022, quando dei vandali decisero che le oltre 700 pietre tombali con i nomi dei caduti non meritassero di sopravvivere al tempo e alla storia. Nonostante il devasto, il sito è unico nel suo genere e merita davvero una visita.

Un Ponte Vecchio ad arcate di stampo ottomano (ćuprija) lo si trova anche nella piccola Konjic. Non del tutto distrutto come quello di Mostar, ma pesantememnte danneggiato durante la seconda guerra mondiale, è il simbolo della cittadina insieme all’Armijska Ratna Komanda D-0, o ARK D-0, o ancora bunker di Tito. Questo rifugio antiatomico costruito dentro la montagna risale agli anni della guerra fredda (occorsero 26 anni per costruirlo e qualcosa come 5 bilioni di dollari per completarlo) ed è rimasto segreto fino alla disgregazione della ex Jugoslavia negli anni ’90; il suo scopo era quello di proteggere il maresciallo Tito, il solo a conoscerne tutti i dettagli insieme ad altri 5 eletti, più 350 membri dell’esercito e del suo staff in caso di guerra nucleare, per questo al suo interno si trovano anche un complesso residenziale, uffici, sale conferenza e molto altro. È visitabile solo su prenotazione e solo accompagnati da una guida autorizzata.

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Giorno 7/8/9: Sarajevo

Un itinerario in Bosnia-Erzegovina nella maggior parte dei casi avrà inizio e/o fine a Sarajevo, capitale finalmente raggiungibile anche con voli diretti dall’Italia (Ryanair vola da Milano Orio al Serio e Wizzair da Roma Fiumicino). Per noi ha rappresentato la penultima tappa del viaggio, e a posteriori credo sia stato meglio così.
Se Mostar è stato un continuo rimbalzo tra la bellezza della città e la consapevolezza della storia recente, lo stesso è valso per Sarajevo, forse in maniera ancora più amplificata. Qui non abbiamo preso parte ad alcun tour, non ce la siamo sentita, ma è bastato visitare i musei cittadini per rivivere le stesse identiche emozioni. Immaginarsi questa città così viva e multiculturale sotto assedio per quasi tre anni, vedere foto e video, leggere le testimonianze di chi l’ha vissuto e di chi non c’è più è straziante. È un’esperienza che ammutolisce e che cambia la prospettiva con cui si guarda il mondo. Dolorosa, ma a mio avviso necessaria.

I musei di cui parlo sono il Museo dell’Assedio di Sarajevo ed il Museo dei Crimini contro l’Umanità e del Genocidio. Nella strada parallela c’è anche la Galerija 11/07/1995 dedicata al genocidio di Srebrenica, quella ce la siamo lasciati per un’altra volta (e poi a Srebrenica un giorno sarà doveroso andare). Anche se purtroppo stanno scolorendo, una sorta di museo a cielo aperto sono pure le rose di Sarajevo, fori causati da armi da fuoco ricoperti di resina rossa che sembrano appunto rose che stanno perdendo i petali. Meno “traumatico” ma senza dubbio meritevole è il piccolissimo Museo di Sarajevo 1878-1918, che racconta la storia della città di quel periodo; è tutto il una stanza e si visita velocemente, ma interessante è la posizione: si trova proprio nell’angolo dove, il il 28 giugno 1914, venne assassinato l’erede al trono dell’impero Austro Ungarico Francesco Ferdinando d’Asburgo, fatto che scatenò la prima guerra mondiale. 

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Sarà scontato, ma la mia “attività” preferita in quel di Sarajevo è stata percorrere all’infinito i vicoli della Baščaršija, antico mercato cittadino ancora pieno zeppo di negozi, caffè e botteghe (e pensare che una volta il “mercato principale” turco aveva una superficie doppia rispetto a quello attuale). L’atmosfera che si respira è unica e fa capire perfettamente la ragione per cui la città è davvero un “incontro di culture”, il punto in cui oriente ed occidente si toccano ed entrano in contatto, come recita orgogliosa la targa che divide/unisce la città vecchia e la zona più moderna piazzata lungo la Ferhadija.

Nonostante la Baščaršija sia, per forza di cose, la zona più turistica di Sarajevo, guai a non passare in rassegna i ristoranti e localini che offrono cibo locale, su tutti burek (mi raccomando, l’originale bosniaco è con formaggio) e gli immancabili ćevapi. Dal punto di vista turistico, meravigliose le tre moschee principali, ovvero la moschea di Gazi Husrev-Beg, quella di Ferhadija e l’omonima Baščaršija. Impossibile non immortalare la Sebilj, iconica fontana ottomana in legno e simbolo cittadino, spesso circondata da decine di piccioni. Per acquistare qualche souvenir davvero locale, personalmente ho adorato il Kazandžiluk, rinominato anche “vicolo del rame”, dove oltre a piatti ed oggetti vari ci sono bellissimi tappeti di tutte le dimensioni fatti a mano.

Per raggiungere la Fortezza Gialla ci si passa quasi obbligatoriamente, ma prendere il tè in una delle deliziose Čajdžinica lungo la Kovači è un’esperienza da fare. Bonus per me impareggiabile, la presenza di tanti dolci gattini, che ad onor del vero si trovano un po’ ovunque e spesso in buona se non ottima salute. Un tè caldo e qualche dolcetto sono indispensabili per accumulare un po’ di energia per raggiungere uno dei punti panoramici più belli di Sarajevo, molto suggestivo soprattutto al tramonto.
Anche la zona sul fiume Miljacka offre punti interessanti, come la Inat kuća (più per la sua storia che per altro), o il ponte Šeher-Ćehajina, o l’accademia delle Belle Arti, o ancora esempi di architettura brutalista in tutto il suo splendore, tra cui il complesso residenziale Papagajka e la Dom Mladih.

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Sarajevo è stata città olimpica, ospitando nel 1984 i XIV Giochi olimpici invernali. C’è un museo dedicato in centro, che abbiamo saltato per mancanza di tempo, ma ciò che a noi premeva vedere davvero era la pista di bob e slittino sul monte Trebević. Il dislivello è notevole, per cui il modo migliore per raggiungerlo è salire con la funivia, dalla quale si può apprezzare la capitale bosniaca da una prospettiva del tutto diversa. Sono moltissimi i percorsi che si snodano dalla stazione da fare a piedi, ci si può tranquillamente passare una giornata, ma abbiamo voluto utilizzare la nostra mezza a disposizione per esplorare l‘infinità di graffiti e murales che ricoprono l’ex pista in tutta la sua interezza, pari a 1300m. Dopo i giochi olimpici fu utilizzata per gare della coppa del mondo, questo fino allo scoppio della guerra in Bosnia-Erzegovina nel 1992, quando fu direttamente coinvolta nel conflitto diventando postazione di artiglieria delle truppe serbo-bosniache. Per questo nel tratto finale sono ancora presenti dei fori di arma da fuoco. Tra i progetti della municipalità c’è quello di recuperarla, e già si era fatto parte del lavoro dal 2014 al 2021 a seguito della rimozione delle mine antiuomo dal territorio di Sarajevo; tuttavia nel 2023, anno della nostra visita, la pista era tutt’altro che in condizione di riprendere qualsiasi attività, rimaneva coperta da una miriade di murales (con protagonista spesso Vučko, mascotte dei giochi) e con la superificie di cemento di certo non idonea.

Il centro olimpico di Sarajevo si trova invece dalla parte opposta della città, nel quartiere di Koševo. Abbiamo salutato la capitale senza spingerci fin lì (ed avendo dovuto lasciare fuori davvero a malincuore il Tunnel di Sarajevo), ma ammirando almeno la torre da lontano, per la precisione dal complesso residenziale di Ciglane. Il nome del quartiere deriva da una vecchia fabbrica di mattoni e risale all’epoca jugoslava, quando si decise di costruire sul fianco di una collina delle palazzine su vari livelli. Anche in questo caso il dislivello è discreto, tanto che insieme alle abitazioni sorse una sorta di funicolare per facilitare la vita ai residenti. Purtroppo non era in funzione durante la nostra visita, ma il resto (architettura brutalista come se piovesse ricoperta di enormi murales a coprire il cemento grezzo) mi ha personalmente davvero appassionato. Non entro nei dettagli, ma ci siamo trattenuti meno di quanto avremmo voluto perché una simpatica signora ci ha accusato di spionaggio e voleva chiamare la polizia per farci cancellare le nostre foto. Un arrivederci inusuale da una città che ci è entrata nel cuore.

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Giorno 10: Banja Luka

L’ultima tappa del nostro itinerario in Bosnia-Erzegovina è stata Banja Luka, capitale della Republika Srpska e seconda città più grande del Paese.
Lasciando da parte il fattore politico, importantissimo per determinare cosa sia oggi Banja Luka ma argomento troppo complicato per me da trattare, la prima osservazione che mi sento di fare è che, arrivando da Sarajevo, sembra di essere in due mondi diversi. La maggioranza della popolazione è serba, e camminando per il centro sembra effettivamente di trovarsi in una qualsiasi città serba. C’è una premessa doverosa da fare: nel 1969 Banja Luka fu colpita da un terremoto devastante, che distrusse l’85% degli edifici. La ricostruzione venne portata avanti nello stile dell’epoca, con pochissimi superstiti del retaggio ottomano ed austro-ungarico; il resto lo fece la guerra, soprattutto per quanto riguarda le moschee, tutte distrutte dai nazionalisti serbi.

La moschea Ferhadija, ai tempi patrimonio Unesco, non fu risparmiata, ma con non poca fatica è stata rimessa in piedi dal 2006 in avanti. Relativamente nuova è anche la Cattedrale serba ortodossa di Cristo Salvatore, che con le sue immancabili cupole dorate torreggia nel cuore della città. La mia preferita però è la Cattedrale di San Bonaventura, una delle quattro chiese cattoliche, dallo stile davvero unico. Tanto cemento c’è anche nella centrale Trg Krajine, luogo di ritrovo per gli abitanti del posto, dove il centro commerciale Boska mi ha davvero fatto sentire “a casa”. Sulle rive del fiume Vrbas ci sono anche i resti della fortezza Kastel, anch’essa ricostruita ed oggi teatro di moltissime attività all’aperto. Esperienza particolare è stata la visita del Museo della Repubblica Srpska, che all’interno di un’edificio monumentalmente brutalista ospita esposizioni moderne addirittura dotate di visore che si alternano ad altre che non saranno state toccate negli ultimi 20 anni almeno; nella zona esterna ci sono invece armi di vario tipo.
Banja Luka è stata la degna tappa finale del nostro itinerario in Bosnia-Erzegovina, che spero possa esserti di ispirazione per l’organizzazione del tuo viaggio in questo Paese davvero stupendo.

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