È strano come a scuola, se pure la studiassi più che volentieri, la storia non mi rimanesse mai particolarmente impressa. E poco importava che si parlasse di avvenimenti remoti o recenti, più o meno vicini geograficamente o di grande impatto; la mia testolina è sempre stata selettiva a modo suo, e ad anni di distanza non nego che spesso mi sento un tantinello ignorante, specialmente se mi tocca confrontarmi con Pavel che in materia ne sa molto più di me, pure di roba nostrana.
Ci sono eccezioni ovviamente, come l’antica Grecia e la grandezza di quell’Atene che abbiamo visitato proprio a gennaio e che mi ha emozionato oltre ogni immaginazione; e parte del periodo romano, con le invasioni barbariche dal nord Europa e la conseguente costruzione di linee difensive. Avete già capito dove sto andando a parare, vero?
Scegliere l’Inghilterra del nord come meta per il nostro mega-ponte pasquale l’ha determinato in larga parte proprio lei, la fortificazione per eccellenza, per dirla alla “Game of Thrones” IL muro, quello vero: il Vallo di Adriano.
Il Vallo di Adriano: un po’ di storia
Hadrian’s Wall, o più semplicemente Roman Wall, prende il nome dall’imperatore Adriano, che ne decise la costruzione ufficialmente per bloccare la discesa dei Pitti da nord, ufficiosamente per ribadire in pompa magna la superiorità di Roma… o piazzare una dogana. Qualsiasi fosse la ragione, il muro segnava il confine tra la Britannia e Caledonia, che non corrisponde esattamente all’attuale frontiera (se così si può chiamare) tra Inghilterra e Scozia, in quanto l’antico limes romano si trova per intero in territorio inglese.
I lavori, per i quali vennero impiegate tutte le legioni occupanti quell’area, iniziarono tra il 122 e il 128 d.C. e si potrassero per una decina d’anni, portando alla luce una struttura spessa ed alta fino a 6 metri. Lungo i suoi 117,5 chilometri, dalla cittadina di Wallsend sul fiume Tyne al Solway Firth, il muro poteva vantare 14 forti, 80 fortini (uno ogni miglio romano), 160 torrette più vari fossati “accessoriati” da pali appuntiti; senza contare i forti già presenti all’epoca della sua costruzione, primo tra tutti quello di Vindolanda.
Va da sè che man mano che l’impero romano si indeboliva, le legioni messe a guardia del muro (si parla di circa 9000 uomini) si riducessero, fino ad abbandonarlo a se stesso nel 410. Senza protezione e senza scopo, cadde in balia di coloro che ne usarono le pietre per la costruzione di edifici, strade e mura, pratica questa che si è protratta fino al XIX secolo.
Il Vallo di Adriano oggi
Inutile dire che larga parte del muro oggi non esista più. Ci sono ancora delle sezioni ben visibili soprattutto nella parte centrale, e se siamo ancora così fortunati da poterle ammirare gran parte del merito va a Mr John Clayton. Grazie al suo ruolo nell’amministrazione cittadina di Newcastle negli anni ’30 del 1800 (e all’acquisto di parte dei terreni), John riuscì a bloccare il continuo “attingere” dei contadini al sito già pesantemente indebolito per la costruzione della Military Road verso la Scozia durante le guerre giacobite. Dopo la sua morte, e dopo varie vicissitudini, il Vallo è passato nelle mani del National Trust e dal 1987 fa parte del patrimonio UNESCO.
A differenza dei resti dei forti più imponenti e dei vari musei sparsi lungo tutto il percorso, l’antico Vallum Hadriani è liberamente accessibile, c’è solo da pagare la sosta nelle aree adibite al parcheggio. Ciò significa, e viste le dimensioni potrebbe difficilmente essere altrimenti, che il sito non è sorvegliato e che sempre più spesso i turisti ne approfittino per comportarsi come non dovrebbero. L’esempio più lampante? Camminarci sopra, o arrampicarsi più in alto possibile (alcuni punti arrivano ancora ad oltre 2 metri) per scattare l’agognato selfie della gloria.
La situazione è peggiorata da quando George R.R. Martin, autore della saga de Il Trono di Spade, ha confessato di averlo preso come spunto per il suo Muro. È recentissima la notizia che un’intera sezione nella zona di Steel Rigg (quella che abbiamo visitato noi) sia venuta giù, probabilmente a causa degli agenti atmosferici e metereologici inglesi non proprio clementi, ma l'”aiuto” dei “visitatori” ha giocato un ruolo chiave. Questo nonostante divieti ed inviti a non salire siano un po’ ovunque.
Detto questo, ammetto di averla anch’io la mia foto, seduta sul bordo basso del tratto iniziale; niente arrampicamenti, niente selfie memorabili, ma avrei dovuto risparmiarmela. Di certo avrei voluto sbattere i cartelli di divieto in faccia a quei turisti che, invece di camminare per il sentiero come indicato, ci trotterellavano beatamente sopra.
Visitare Steel Rigg e la Sycamore Gap: informazioni pratiche
Come detto, sono varie le sezioni del muro che si possono visitare.
Visto lo scarso tempo a disposizione, dovendo sceglierne una, noi abbiamo optato per quella più vicina ai resti del forte di Vindolanda, che tra le altre cose custodisce uno degli elementi più famosi ed amati del percorso: la Sycamore Gap, con quello che si dice sia l’albero più fotografato d’Inghilterra.
Ma andiamo con ordine e cominciamo da una mia (sbagliatissima) convinzione: il Vallo di Adriano è in pianura. Bello dritto e facile da percorrere. Non chiedetemi perché, ma è da quando andavo a scuola che me lo sono sempre immaginata così.
Niente di più sbagliato!
Com’è ovvio, i romani non volevano che gli invasori avessero vita facile e scelsero delle belle ed irte colline per costruire il limes. Mettetevi quindi scarpe belle comode e siate pronti a percorsi di media difficoltà se volete passeggiare (o fare trekking) proprio di fianco al muro. Noi abbiamo intrapreso la parte più dura all’andata, con un vento infernale contro, optando per un giro più lungo ma decisamente più lineare al ritorno.
Il parcheggio indicato per la visita di questo tratto è Steel Rigg, anche se molti visitatori locali lasciano la vettura lungo la strettissima strada che porta all’area di sosta, evitando così di pagare. Coi parcheggi in effetti il National Trust ci va giù pesante, perché se è vero che i primi 15 minuti sono gratis (ma cosa ci fai lì con 15 minuti?), l’importo minimo per fermarsi da 1 a 3 ore è di 3£, + 2£ dalla 4° ora per un massimo di 10£. Se avete la possibilità di dedicare al Vallo tutta la giornata ed intendete spostarvi, esistono anche pass da 24h per tutte le aree della zona al costo di 10£, acquistabili a “The Sill” (The National Landscape Discovery Centre).
Il percorso fatto da noi, da Steel Rigg fino alla Sycamore Gap, è di circa 1,5km a tratta.
Steel Rigg e la Sycamore Gap: un percorso indimenticabile
Lunedì 22 aprile 2019, Pasquetta.
Visitare il Vallo di Adriano, poterlo toccare, camminarci a fianco erano alcuni piccoli desideri di una bambina affascinata dai grandi eventi del passato, e che crescendo sta cercando di realizzarne il più possibile. Ho provato la stessa sensazione dell’essere sulla cima dell’Acropoli di Atene o in mezzo all sua antica Agorà, quell’emozione mista a soggezione, anche se qui chiaramente non si gettavano i fondamenti della democrazia e gli scopi erano ben diversi.
Toccare con mano la storia è più semplice di quanto si possa pensare. In questo caso, basta attraversare un cancelletto che immette nel percorso pedonale a pochi passi dal parcheggio. Echeggiano intorno a noi belati di pecore ed agnellini, qui è la “lambing season” ed altri cartelli mettono bene in chiaro di non disturbare i delicati animaletti. Che mi incantano, certo, ma non come il muro che si para subito davanti a noi.
Il primo breve tratto è basso ed abbastanza lineare, tanto che non dico che potrebbe essere scambiato per quei muretti che dividono gli appezzamenti contadini (è troppo spesso e molto più “verde”), ma quasi. I segni del tempo sono evidenti, con ciuffi d’erba che sbucano un po’ ovunque ed un vero prato sulla parte superiore; anche alcune fessure tra le pietre sono più evidenti di altre, con piccoli crolli qua e là.
Seguono ben presto una discesa e la conseguente salita, una bella tosta sul lato della collina, che per arrivare in cima dobbiamo (vabbè, devo) riprendere fiato un paio di volte con la scusa di far passare chi sta scendendo. Mi ricorda vagamente Arthur’s Seat ad Edimburgo, anche se questa è molto più breve e meno affollata. La parte in alto è nuovamente lineare e riesco a camminare concentrandomi unicamente sul muro e sullo splendido panorama che ci circonda, sensazione che dura poco perché i successivi saliscendi sono proprio dietro l’angolo, e stavolta sono resi ancora più ostici da un vento assassino.
Ora, io non ho problemi con le salite, trovo sempre dove aggrapparmi, ma con le discese è tutt’altra storia; il senso del vuoto, il terrore di rotolare giù e nel migliore dei casi rompermi qualcosa, mi fanno rivoltare lo stomaco. Fortuna che ho la mia personale “roccia mobile”, che con tanta pazienza mi scorta in mezzo ai resti di un fortino al miglio 39.
Ma è la “gap” successiva a regalarci uno dei ricordi più belli del viaggio, dell’anno, di chissà cos’altro: la pianta di sicomoro più famosa e fotografata della Northumberland, o forse di tutta l’Inghilterra, il “Sycamore Gap Tree“. L’albero ha qualche secolo sulle spalle, e nonostante oggi sia rimasto solo soletto, in passato aveva altri fratelli nelle vicinanze, poi rimossi per ragioni non del tutto chiare. Se vi state chiedendo cos’abbia di tanto speciale, basterebbe descrivere il paesaggio assolutamente surreale ed unico nel quale si trova; il netto avvallamento (frutto dell’erosione della roccia da parte dei ghiacciai), le colline e gi spunzoni di roccia che gli sbucano a fianco, i Vallo che gli scivola alle spalle. Unico, appunto.
Se poi, come la sottoscritta, siete cresciuti a pane e “Robin Hood: principe dei ladri”, non potete non emozionarvi ripercorrendo le orme di Kevin Costner e Morgan Freeman in una delle scene più famose del film; credo di averla fusa quella videocassetta, sognando di essere Lady Marian ed aspettando l’eroe impavido e bello come il sole (senza contare che la mamma aveva appeso un poster di Kevin in cucina, dove credo sia rimasto fino alla mia adolescenza). Il “Robin Hood Tree“, com’è stato soprannominato dal 1991, è emozione allo stato puro ed ha reso meno cocente la delusione di non aver potuto inserire Nottingham e la foresta di Sherwood nell’itinerario.
La strada di ritorno verso Steel Rigg la facciamo godendoci la vista del Vallo da una certa distanza, prediligendo un terreno per quanto possibile più piatto. E posso assicurarvi che riesce a mantenere la sua poesia anche senza avercelo a pochi centimentri.
Una delle immagini che mi porterò dietro, insieme a quella di pecore ed agnellini, è la coppia di signori abbastanza in là con gli anni con cane a seguito accampati per un picnic sul tratto più vicino al parcheggio; il loro essere completamente a proprio agio nonostante le stampelle, gli acciacchi evidenti, il doversi sedere su un masso. Cibo, un buon libro, tanti sorrisi, anche per noi. Ciò che per me è un sogno realizzato, per altri è come il salotto di casa. La bellezza del viaggio.