Hai mai sentito parlare di Lidice?
No, probabilmente no… ma in fondo, perché avresti dovuto? Fa parte di quella storia che nei nostri libri, sotto l’argomento seconda guerra mondiale, non c’è.
I libri di testo nostrani (e non solo, presumo) parlano delle grandi battaglie, di lotte per i confini. Di vincitori e vinti. Dei punti salienti, quelli che tutti, almeno in teoria, conoscono. C’è a malapena posto per l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema e per la strage di Marzabotto, per tanti versi tristemente simili a ciò che è successo a Lidice.
Ma non c’è proprio posto, né tantomeno tempo, per un piccolo villaggio di poche centinaia di anime dell’allora Cecoslovacchia che un giorno viene raso al suolo solo perché l’oppressore di turno ha deciso così. E per raso al suolo non intendo solo le case, ma tutto e tutti.
Io ci sono stata a Lidice, nell’agosto 2019. La sua storia la conoscevo, anche se di rimbalzo, attraverso la cripta della Cattedrale di Cirillo e Metodio di Praga; luogo dove hanno passato le loro ultime ore, barricati e braccati, una manciata di soldati tutt’oggi considerati martiri ed eroi della patria. Che c’entrano col villaggio? Tutto e niente.
Dopo quella visita, a Lidice dico, scrissi sui social di andare a cercarla su Google perché io non avevo parole per descrivere l’esperienza.
Bè, direi che è arrivato il momento di trovarle.
Lidice: come i nazisti sono arrivati al massacro di un intero villaggio
Il Protettorato di Boemia e Moravia e l’operazione Anthropoid
I nazisti si insediano in Cechia in seguito alla dichiarazione di indipendenza slovacca del 14 marzo 1939. Due giorni bastano ad Hitler per presentarsi da vincitore al castello di Praga e proclamare l’istituzione del nuovo Protettorato di Boemia e Moravia. A capo mette uno dei suoi collaboratori più fidati, il generale delle SS Reinhard Heydrich, al quale è presto affibbiato il macabro soprannome di boia (o macellaio) di Praga. Il suo uccidere indiscriminatamente oppositori politici e civili innocenti porta il governo ceco, in esilio a Londra, ad organizzare una controffensiva in collaborazione con la Resistenza Nazinale Ceca ed il governo inglese.
Per lo scopo viene scelto il corpo dei paracadutisti, nelle persone di Jan Kubiš e Jozef Gabčík (gruppo Antrophoid) con il compito di liberarsi di Heydrich, mentre Alfréd Bartoš, Josef Valčík e Jiří Potůček (gruppo Silver A) devono fare da supporto ai due caporalmaggiori attraverso azione di spionaggio. Dopo un mirato addestramento in Scozia, i militari scendono sui cieli della capitale nella notte tra il 28 ed il 29 dicembre 1941.
Occorrono mesi prima che si entri nel vivo di quella che passerà alla storia come Operazione Antrophoid.
L’attentato ai danni del boia di Praga è programmato per il 27 maggio 1942 e mira a colpirlo nel tragitto, coperto a bordo di una Mercedes-Benz decapottabile (tanto si sente invincibile), da casa all’ufficio. Gabčík e Kubiš lo aspettano nel quartiere di Libeň, dove c’è una curva particolarmente stretta che costringe il suo autista a rallentare. Gabčík prova a sparargli, ma la mitragliatrice si inceppa; accortosi della situazione di pericolo, Heydrich estrae la pistola. Nel frattempo Kubiš getta verso l’auto una bomba a mano. Anche in questo caso però non va come deve andare: l’ordigno non finisce all’interno del mezzo ma sotto, non uccidendo sul colpo gli occupanti come avrebbe dovuto.
I paracadutisti riescono a scappare, uno in bici e l’altro salendo sul tram. Il generale, pensando ad un attentato fallito, non nota subito le gravi ferite riportate. Nonostante un iniziale lieve miglioramento, muore di setticemia il 4 giugno 1942, a causa dell’infezione causata dai crini di cavallo presenti sulla macchina. È l’inizio della fine per tanti, troppi innocenti.
Ripercussioni e vendetta: il massacro di Lidice
È il capo della Gestapo del protettorato, Karl Hermann Frank, a dichiarare lo stato di emergenza e a stabilire che chiunque abbia aiutato i paracadutisti debba venire giustiziato insieme alle proprie famiglie. Nonostante un premio di 10 milioni di corone in caso di collaborazione, al 4 giugno nessuna nuova informazione è nelle mani dei nazisti, mani già macchiate del sangue di altri 157 innocenti. Finché non giunge voce, chissà poi come, che gli abitanti del villaggio di Lidice, a pochi chilometri da Kladno e non lontano da Praga, abbiano nascosto dei partigiani ed aiutato attivamente nell’operazione Antrophoid.
Da Berlino nel frattempo era stato trasmesso un protocollo specifico da riservare a tutti i centri abitati che si fossero macchiati di tali “peccati”. Protocollo applicato alla lettera nella piccola Lidice.
Gli uomini sopra i 15 anni, un totale di 173 all’alba di quel 10 giugno 1942, sono radunati di fronte al muro del granaio della fattoria della famiglia Horák, ricoperto da materassi per evitare il rimbalzo dei proiettili. Vengono tutti fucilati senza nemmeno essere bendati, prima a gruppi di 5, poi a gruppi di 10 per risparmiare tempo. Chi viene dopo, deve camminare sui cadaveri dei propri compaesani, amici, familiari. Sono solo in 3 a sopravvivere: due di stazione in Inghilterra ed uno in prigione a Praga.
184 donne vengono caricate su dei camion diretti alla stazione di Kladno, e da lì fatte salire su un treno per il campo di concentramento di Ravensbrück, dove si cerca di tenerle isolate dalle altre prigioniere. Le aspettano lavori forzati nella produzione di pelle, munizioni e tessuti, oltre che nella costruzione di strade. Le 35 più anziane proseguono per Auschwitz, cavie di esperimenti medici.
Dei 105 bambini, appena 17 sono ritenuti “idonei alla germanizzazione” ed affidati alle famiglie di membri delle SS. Altri 82 raggiungono prima Łódź, dove per ordini specifici non è data loro alcuna cura medica, poi il campo di sterminio di Chelmno, dove trovano quasi istantaneamente la morte nelle camere a gas. I rimanenti 6 passano i loro ultimi giorni in un orfanotrofio tedesco.
Incredibile ma vero, una nota positiva in questa storia tremenda c’è: alla liberazione dei campi, le madri dei 17 bambini ancora in vita riusciranno a rintracciare i figli e riaverli con sé.
Per completare l’opera, il villaggio di Lidice viene completamente bruciato, e gli edifici ancora in piedi fatti esplodere. Gli animali subiscono la stessa sorte dei padroni. I resti dei defunti sepolti nel piccolo cimitero sono dissotterrati e distrutti, le piante estirpate. Tutta l’area è ricoperta di terra e piantata a colture. Come se lì non ci fosse mai stato niente. Come se Lidice non fosse mai esistita. Ed è così che, di fatto, scompare dalle carte geografiche.
A subire la stessa sorte pochi giorni dopo è un altro villaggio, quello di Ležáky, nella regione di Pardubice.
La Cattedrale di Cirillo e Metodio, l’ultimo rifugio
Torniamo a Praga. Che ne è di Kubiš, Gabčík e gli altri?
Già prima dell’attentato ci si era posti il problema di trovargli un nascondiglio. La risposta arriva dalla comunità religiosa ortodossa, che mette a disposizione la catacomba all’interno della Cattedrale di Cirillo e Metodio. Nonostante il rifugio sembri sicuro, a non reggere alla pressione è proprio uno degli ultimi paracadutisti aggregati alla missione, Karel Čurda. Pur non conoscendo il luogo preciso, fornisce dettagli sufficienti perché le SS possano arrivarci.
Il 18 giugno 1942, la Gestapo circonda la chiesa con l’intento di catturare i militari vivi. Tre di loro resistono oltre 5 ore prima di venire uccisi, mentre gli altri 4 preferiscono suicidarsi piuttosto che cadere nelle mani dei nazisti. Inutile aggiungere che anche le famiglie dei religiosi responsabili di averli aiutati vanno incontro a dure conseguenze, con la deportazione in massa nel campo di concentramento di Mauthausen. Il vescovo ed i preti subiscono un processo farsa che li dichiara colpevoli e li condanna a morte, lasciando la chiesa ortodossa boema priva di qualsiasi vertice.
Lidice dal 1942 ad oggi
La rinascita del villaggio
Per 7 anni Lidice non esiste, almeno sulla carta.
In realtà, già nel settembre del 1942 Sir Barnett Stross, profondamente colpito dal genocidio, dalla sua casa di Stoke-on-Trent decide di dare una mano per la ricostruzione del villaggio. Coinvolge i minatori della zona in una raccolta fondi che battezza “Lidice shall live“, in chiara contrapposizione alla frase che Hitler in persona avrebbe pronunciato pochi mesi prima, “Lidice shall die forever“.
La decisione di costruire una nuova Lidice, vicina alla vecchia ma con nessuna intenzione di sostituirla, viene svelata al popolo ceco durante la seconda commemorazione del massacro. La rinascita prende il via nel 1947 attraverso le case destinate alle sopravvissute di Ravensbrück, seguite da un centro civico, un museo e dei negozi. È possibile vedere un esempio della vita dell’epoca attraverso l’esposizione permanente al civico 116, in via Osady Ležáků, dove una casa è stata trasformata in museo. A completare il quadro, Sir Stross regala alla cittadina il Friendship and Peace Rose Garden, uno dei giardini di rose più grandi al mondo, che unisce di fatto le due Lidice.
Anche l’artista ceca Marie Uchytilová, verso la fine degli anni ’60, vorrebbe dare il suo contributo con un monumento dedicato ai bambini. Il suo progetto non vede mai la luce a causa di problemi economici, ma non finisce nel dimenticatoio. È grazie ad una generosissima donazione della città danese di Albertslund che finalmente, nel 2000, la statua che raffigura 82 dei 105 bambini di Lidice viene inaugurata.
Il memoriale, il museo ed il monumento ai bambini
La vecchia Lidice oggi è un enorme distesa verde dove passeggiare e riflettere.
Vi si accede attraverso un monumento che fa quasi da porta, il cui nucleo risale al 3 luglio 1945, voluto dai soldati dell’Armata Rossa. A parte questo, in epoca comunista l’intera area è abbandonata a se stessa, e solo nel 2001, con l’istituzione dell’organizzazione Lidice Memorial da parte del ministero della cultura, le viene restituita l’attenzione che merita. Anche con la creazione di un piccolo ma moderno ed assolutamente suggestivo museo, punto dal quale ti consiglio di iniziare la visita.
Affrontalo con la consapevolezza che verrai accompagnato, costantemente, da un groppo in gola che non ti permetterà nemmeno di respirare.
È un breve video che descrive il momento storico ad accogliere i visitatori. Seguilo attentamente, è illuminante. Di nuovo, quello che nei nostri libri non c’è, o non come dovrebbe.
L’esposizione permanente ha un nome ben preciso, “A nevinní byli vinni…“, e gli innocenti erano colpevoli. Un vero senso di disagio è creato dal netto contrasto tra pareti e pavimento, fatti di cemento grezzo, e le immagini d’archivio del paese e dei suoi abitanti prima del 1942. Qua e là ci sono i pochi oggetti sfuggiti alla furia nazista, sui muri foto e nomi di ogni singola persona che ha perso la vita, illuminati da un potente fascio di luce.
Quelle facce che la storia, la mostruosità umana, ha tentato di cancellare. Non il mondo però, almeno quella parte che, una volta finita la guerra, è venuta a conoscenza di cosa fosse successo, a Lidice. Ed ha rinominato le proprie città (Barrio Lídice a Caracas, Lídice de Capira a Panama, San Jerónimo Lídice in Messico), ha trasformato un toponimo in un nome proprio femminile. Un invito a non dimenticare.
All’uscita, un ultimo video. Quello dei sopravvissuti, che dai campi di concentramento sono tornati ad una casa che non esisteva più senza che lo sapessero.
Non è permesso fare foto, ma sul sito ufficiale del museo di Lidice troverai sia informazioni pratiche (biglietto, orari) che qualche scatto.
Il groppo in gola non si scioglie nemmeno una volta tornati all’aperto.
Perché il pietní území è solo all’apparenza un verdissimo parco. Come si vede chiaramente dall’immagine tridimensionale nella terrazza di fianco al museo, al suo posto c’erano edifici. Fattorie. Animali. Persone. Famiglie.
È proprio il monumento dedicato ai bambini, i cui occhi fissano lo spazio vuoto un tempo occupato dalle loro case, ad introdurci al resto: l’enorme croce in concomitanza del muro del granaio degli Horák, che di fatto sovrasta l’enorme tomba comune degli uomini di Lidice. Le fondamenta della chiesa, tra le quali oggi troviamo un piccolo altare, e quelle della scuola, dove svetta un’altra statua molto toccante di una madre che cerca di proteggere il figlio. Ce ne sono tante di statue sparse qua e là, tutti in punti significativi. Infine il vecchio cimitero, proprio di fianco a quello nuovo.
Continui cazzotti nello stomaco, anche dalla mia camera ad oltre 1000 chilometri di distanza. Tanto che non so proprio come andare avanti, nemmeno a distanza di quasi un anno.
Come raggiungere Lidice
Lidice dista appena 25 chilometri da Praga.
Il modo più semplice per raggiungerla è in autobus, in quanto rimane sulla strada che collega la capitale a Kladno. La fermata è proprio in corrispondenza del memoriale. Le corse sono frequenti e partono dalle stazioni di Zličín e Nádraží Veleslavín, che forse conoscerai in quanto capolinea del bus da e per l’aeroporto di Praga. Il tempo di percorrenza varia dai 17 ai 43 minuti a seconda delle fermate. Consulta il sito Idos.cz per programmare il viaggio.
Se invece ti sposti in auto, imbocca l’autostrada D7 Praha–Chomutov e prendi l’uscita 7 Kladno/Lidice/Buštěhrad.
Esistono anche tour privati che partono da Praga. Tralasciando il risparmio piuttosto significativo dell’organizzarsi da soli, credo però che sia un’esperienza che vada vissuta coi propri ritmi, quindi ti sconsiglierei vivamente l’opzione.
Film e libri sul massacro di Lidice
Se prima di affrontare una visita così impegnativa tu volessi documentarti, escludendo vari articoli online non ci sono molti modi per farlo.
Il film del 2011 Lidice, diretto da Petr Nikolaev, è disponibile sia nella versione ceca che in quella inglese, con il titolo di Fall of the Innocent.
Nel 2018 è stato prodotto anche un documentario dal nome A tree remembers, di cui purtroppo sono riuscita a trovare solo il trailer (sotto).
A livello letterario, è sul sito Památník Lidice che si trova la collezione più completa, con qualche titolo anche in inglese.
Spero che questo mio articolo ti spinga a volerne sapere di più sull’argomento.
Considerazioni personali e perché dovresti visitare Lidice
A differenza di altre occasioni, stavolta non ho nemmeno provato a mettere freno alle parole. Spero mi scuserai per la lunghezza del post e grazie di essere arrivato fin qui.
È dalla prima volta che sono entrata nella cripta della Cattedrale di Cirillo e Metodio di Praga, o forse da quando ho visto il film Antrophoid (del 2016, purtroppo rimosso dal catalogo di Netflix), che voglio scrivere di Lidice. Perché è una storia che pochissimi conoscono al di fuori dei confini cechi, ma che per rispetto verso tutti coloro che hanno perso la vita in modo così brutale, senza nessuna ragione valida, deve essere raccontata. Che poi, i massacri (anche se di altro genere) che accadono ai giorni nostri sono così diversi? O sono l’ennesima dimostrazione che spesso dalla storia non si impara niente, che si dimentica troppo presto e troppo facilmente?
Dopo esserci stata a Lidice, il 6 agosto 2019, non sono comunque riuscita a buttare giù niente.
Come fai a raccontarlo? Come puoi comunicare l’angoscia che ti attanaglia lo stomaco, così forte da non riuscire nemmeno a piangere? Perché avrei voluto tanto piangere, di fronte alle foto, ai nomi impressi sul duro cemento. Mentre calpestavo quel terreno ancora grondante di sangue, nonostante il tempo trascorso, nonostante il prato verde e il canto degli uccellini. Ricordiamoci che è puro caso se siamo nati dove siamo nati, e in un determinato momento storico. È toccata a loro, ma potevamo esserci noi, i nostri cari. Tutti innocenti, indistintamente.
L’unico invito che voglio farti è di andarci a Lidice, se sei a Praga o da quelle parti. Consapevole che sarà una visita tosta, forse più che all’altrettanto vicino campo di concentramento di Terezín. Per cercare di capire. Perché attraverso il tuo racconto, altri possano conoscere ed informarsi. Perché la conoscenza è l’unica arma che abbiamo contro le bestie del passato e del presente.
Che pugno questo post, Celeste,ma hai fatto bene a frugare dentro di te per trovare le parole più consone a raccontare una storia così drammatica. Faccio parte di quelli che non ne sapevano niente perché in effetti sui libri di storia non c’è traccia di tutto questo, o forse quel giorno ero assente. A volte penso a come sia stato possibile tutto questo,l’ascesa al potere di Hitler, i campi di sterminio…storie come quella che hai raccontato tu servono a non dimenticare e a non ricadere negli stessi errori… Speriamo
Ti ringrazio del commento Alessia <3 sono sicura che, almeno "ai nostri tempi", sui libri non se ne parlava. È una storia terribile che conoscono giusto i cechi, per i quali Lidice è una sorta di pellegrinaggio, o chi è andato a visitare la Chiesa di Cirillo e Metodio ed ha prestato particolare attenzione al pannello che la illustra brevemente.
Anch'io come te spesso mi faccio certe domande, e vedendo la piega che sta prendendo il mondo di oggi, continuo proprio a non capire. Non solo stiamo ricadendo negli stessi errori, ma ne stanno tirando fuori anche di peggio. Che amarezza.
Buongiorno Celeste, ho letto con molto interesse il tuo articolo su Lidice. Sono vissuta a Praga dal 2006 al 2010 e, naturalmente, sono andata a Lidice. Ho pianto tutto il tempo. In quel periodo avevo anche io un blog, e, non avendo mai sentito parlare prima di Lidice, ho avuto il desiderio di farlo conoscere ai miei conterranei. L’ho messo in rete il 2 aprile 2012 ed era abbastanza interessante. Poi, per tanti motivi, ho lasciato perdere il blog, finchè la Tiscali non lo ha chiuso definitivamente insieme a tutti gli altri. Ma avevo conservato l’articolo. Recentemente mi è venuta voglia di parlare ancora di questa storia, quindi ho aperto un altro blog e sto copiando ciò che avevo scritto all’epoca. Ho pensato anche di cercare qualche ulteriore aggiornamento, e sono capitata sul tuo, che è davvero bello e molto ben fatto, complimenti! Ti chiedo, pertanto, il permesso di aggiornare il mio scritto con qualche dato preso dal tuo. Naturalmente ti citerò tra le fonti e, se dovessi avere qualcosa in contrario, sarà mia cura riportare lo scritto al suo stadio originale. Il mio blog è questo:
https://v4.simplesite.com/#/pages/449141179?editmode=true#section_e43ef69e-1d80-4cbb-9aa4-9ee0fe375142
Si chiama “La scheggia impazziat” ed è su Simplesite
Un caro saluto
Wylma
Buongiorno a te Wylma, e grazie per il tuo commento.
Sai che io non sono nemmeno riuscita a piangere? Avevo un groppo in gola e allo stomaco che bloccava tutto. Non riuscivo a parlare, né tantomeno lontanamente a capire. D’altra parte, come si può capire una cosa simile? Andrò con piacere a cercare il tuo blog ed il tuo articolo, mi fa piacere che anche tu ne abbia parlato perché purtroppo è una vicenda sconosciuta ai più al di fuori dei confini cechi, e meriterebbe senza dubbio più diffusione. Prendi pure spunto per aggiornare da me, ti ringrazio per la citazione tra le fonti ed anche per avermi avvisata, è davvero rarissimo che qualcuno lo faccia e lo apprezzo molto.
Un caro saluto a te