Dimentico spesso che Teplice è una città di confine.
Eppure, sebbene causa autostrada il suo ruolo centrale l’abbia un po’ perso, sono moltissimi i segnali che lo ricordano. Specialmente appena si esce dal centro. Le indicazioni stradali che riportano una D a caratteri cubitali sono frequentissime, così come sono frequenti i segnali con sù scritto Dresden.
Il “ciò che era e adesso non è più” ti colpisce come uno schiaffo quando ti allontani appena da Teplice, direzione montagne. Basta fare una manciata di chilometri per finire a Dubí, cittadina termale famosa in passato anche grazie alla produzione di porcellana; soprattutto, prima tappa ceca degna di rilievo della E55 sull’asse Berlino-Dresda-Praga.
Dubí, cosa resta di un glorioso passato
Terme, cibulák (modello blue onion ereditato dalla non poi così lontana Meissen), negozi di cianfusaglie a prezzi ridicoli, per i tedeschi almeno. Miniere di stagno nella vicinissima Cínovec, sede della dogana. E prostitute. Tantissime. Un giro di soldi mica da ridere per un paesello di nemmeno 10.000 abitanti.
Questo P.A.
Prima dell’autostrada.
Perché dal 2006, con la costruzione del tratto della D8 che da Ústí nad Labem si unisce alla tedesca Bundesautobahn 17, Dubí è diventata terra di (quasi) nessuno. Addio camionisti, addio viaggiatori di passaggio, addio guadagni. Addio.
Non mi sono mai addentrata nel cuore della cittadina, anche se forse dovrei farlo. Ma basta percorrere la via principale, la Ruská, per venire travolti da un senso di disagio, di depressione quasi. Night clubs a raffica (vuoti), negozi/capanna ormai ridotti in specie di baracconi, tranne alcuni occupati da qualche vietnamita che ancora evidentemente ci crede, chissà poi perché; edifici lasciati a se stessi, facce losche, pure auto mezze incendiate. Giuro. Ok, ci saranno alcuni palazzi rimessi in sesto e coloratissimi, ma trovo una sola parola per definirla: desolazione.
È un po’ tutta la zona ad aver risentito del cambiamento epocale, prima con l’abolizione delle dogane e poi con la costruzione della famosa D8. Fortuna che la disastrata Dubí qualche motivo di vanto ancora ce l’ha, tra cui di certo la storica tratta ferroviaria Most–Litvínov–Moldava, dichiarata monumento nazionale nel 1998.
Moldava e la sua storica stazione ferroviaria
È proprio a Moldava, sui Monti Metalliferi (Krušné hory), che abbiamo trascorso un caldo pomeriggio estivo. Anzi, un pomeriggio che da caldo è diventato fresco, grazie agli oltre 700 metri di altitudine di un paese ormai semi-deserto. Ad essere sinceri, nella strada che collega Dubí a Moldava di punti interessanti ce ne sono.
Mikulov senza dubbio, con il suo sport center per gli amanti dello sci, il cui piazzale antistante si riempie facilmente anche d’estate grazie ad un paio di ristoranti; oppure Štola Lehnschafter, antiche gallerie di una miniera oggi aperte al pubblico. Abbiamo anche visto una bellissima famiglia di cervi passeggiare tranquillamente lungo un torrente a poca distanza dal ponte ferroviario di Hrob, scorcio di altri tempi questo.
Dopo un bel po’ di serpentine, fiancheggiando immense foreste di abeti, si raggiuge Moldava, paese di confine. Anzi, una delle 3 parti che la compongono, nel nostro caso Nové Město. Il perché della scelta? La presenza della stazione ferroviaria, la cui storia è molto significativa.
Teniamo a mente che la stazione è proprio sul confine ceco/tedesco, che al momento della sua costruzione nel 1885 la Cechia faceva ancora parte dell’Impero Austro-Ungarico e che i Monti Metalliferi sono stati dal XVI fonte quasi inesauribile di argento, stagno, carbone, litio, uranio. Si capisce quindi la necessità di costruire una tratta ferroviaria che attraversasse la catena naturale che divide Boemia e Sassonia e che rifornisse entrambe dei preziosissimi minerali.
Nel 1885, Moldava era una semplice stazione di passaggio per treni che si dirigevano principalmente ad ovest, verso le città tedesche, e continua ad esserlo anche nel 1918, alla dissoluzione dell’impero e la nascita della Cecoslovacchia; cambiamento che qui, in fondo, ha stravolto poco e niente il lavoro dei locali se si pensa che per anni è circolato un treno ogni 15 minuti, portata massima per la tratta.
La rivoluzione, quella vera, si ha nel 1947 con la cacciata dei sudeti dalle terre ceche; il trasporto di materiale verso la Germania viene interrotto, i treni circolano solo verso est e Moldava diventa ufficialmente l’ultima fermata.
Negli anni successivi i tedeschi procedono allo smantellamento di 8km di binari, tanto che oggi fa quasi strano, sul ponte che divide Repubblica Ceca e Germania, vederli interrompersi così bruscamente. C’è un progetto di ricostruzione datato 2008, chissà se vedrà mai la luce.
La storia non finisce qui: nel 1962 comincia la costruzione della diga di Fláje, a pochissimi chilometri da Moldava, e la stazione diventa il punto di arrivo di ogni tipo di materiale; viene addirittura costruita una funicolare che le collega. La grande prosperità dura fino alla fine degli anni ’70, ed è seguita da un declino inarrestabile.
Oggi Moldava è raggiungibile con treni diretti da Most. In estate abbastanza frequenti, più o meno ogni due ore in entrambe le direzioni, il resto dell’anno solo il fine settimana e massimo 3 al giorno. La stazione, un edificio incredibilmente grande se si pensa a dove ci troviamo, è semi abbandonata, per non dire del tutto. Nel porticato esterno sono stati piazzati dei pali per evitare eventuali crolli; le biglietterie sembrano uscite da un film post-apocalittico, nonostante le due immagini dipinte sul muro provino a rallegrare un po’ l’ambiente; sulle panche è vietato sedersi. Gli orologi però funzionano.
Eppure, almeno ad agosto, il via vai è più o meno continuo, perché i percorsi pedonali e ciclistici in mezzo ad una natura praticamente incontaminata si sprecano.
Moldava al confine, a cavallo tra Cechia e Germania
Dalla stazione al piccolo ponticino, frontiera ufficiale tra Repubblica Ceca e Germania, ci saranno si e no 300 metri.
Lo “scambio di persone” tra i due paesi non è mai stato particolarmente fitto in questo punto, non c’è da sorprendersene. Eppure le cianfrusaglie improbabili che c’erano pure a Dubí, Cínovec, che continuano a persistere a Petrovice, non avevano risparmiato nemmeno questo angolo.
Se si escludono un paio di ristoranti e credo un hotel, gli unici negozi sono, manco a dirlo, gestiti da vietnamiti. Supermercati con reparto abbigliamento, intimo e pure scarpe. E cianfrusaglie. Non chiedetemi come ci sono finiti lassù, è da non credere.
La dogana vera invece, quella con la polizia e tutto il resto, era in terra tedesca. Subito dopo quel ponte costellato di mille cartelli ad indicare Germania, Sassonia, divieti vari, ed ancora, dall’altro lato, Česká Republika. Chiaramente è stato smantellato tutto, niente più sbarre, niente più caserma. E io, proprio come quando mi sono trovata sul triplo confine con la Polonia, mi sono messa saltellare da qua a là. Non avrei più smesso di attraversarlo.
Libertà.
Siamo fortunati.
Da bravi pigroni, oltre a prendere un po’ di fresco e gironzolando non più del dovuto, noi ci siamo limitati a pensare a cosa abbia rappresentato in passato quel luogo oggi semi-abbandonato. Sembrano più numerosi gli edifici lasciati a se stessi rispetto al numero di abitanti. Che sono pochi, pochissimi, eppure “resistono”. Anche se quelli che abbiamo incontrato erano molto in sù con l’età, oppure giovani ma decisamente ubriachi…
A conti fatti, Moldava, anzi Nové Město, non ha molto da offrire se si eclude la stazione, che da sola vale però la salita.
La Repubblica Ceca di confine non smette mai di stupire.
La diga di Fláje
Visto che l’ho tirata in ballo, mi sembra giusto dedicare due parole anche alla diga di Fláje, leggermente più lontana dal confine ma davvero importante per la zona. Ed unica nel suo genere in tutto il territorio ceco.
Datata 1963, venne costruita lungo il corso di un ruscello di montagna con lo scopo di fornire acqua a tutti i maggiori centri ai piedi dei Monti Metalliferi. Most, Litvínov, Bílina, Duchcov e pure Teplice ancora oggi vengono riforniti direttamente e possono usufruire di un’acqua di qualità altissima e potabile. Senza contare che i cechi, grandi amanti dello sport, salgono spesso e volentieri quassù per godersi la lunghissima pista cicliabile che costeggia tutta la riserva. 34km di pace.
Interessante è visitare la diga d’estate, quando fa più caldo; alcune zone periferiche rimangono asciutte ed è possibile osservare i resti dei villaggi che sono stati sommersi per far posto a questa gigantesca riserva.
Piuttosto sconvolgente, ma pur sempre parte integrante della storia di un angolo di Repubblica Ceca davvero speciale.
Bellissimo il tuo racconto Celeste! Per quanto mi riguarda questo posto è interessantissimo (magari non sarò normale per carità eh) ma credo che abbia tutte le caratteristiche che io cerco nei posti che si trovano fuori dalle rotte turistiche. Si, l’ho detto. E poi credo che abbia gli ingredienti giusti per ambientarci un bel romanzo! Ce lo vedo uno scrittore in ritiro a comporre pagine e pagine di un thriller/noir/horror! Oppure uno di quei romanzi di amori e passioni in costume che hanno come protagonista quella vecchia e meravigliosa stazione! 😉 Ok mi sa che sto divagando 😛
Orsa, anche a me ha colpito tanto. Cioè, sembra proprio un luogo fuori dal mondo, e pensare che fino a non tanto tempo fa era al centro di un piccolo universo.
Ce lo vedrei bene un telefilm stile Poirot in effetti, oppure ci mandiamo la signora Fletcher xD Così è la volta buona che si spopola del tutto!!!